Estratto dalla tesi di Laurea Magistrale: “Sistemi di creazione e produzione della danza contemporanea durante la pandemia da Covid-19: strategie, innovazioni e prospettive”. Relatrice: Prof.ssa Francesca Magnini(Parte 5)

Come si è potuto osservare fino a questo momento, il periodo di pandemia vissuto dai centri e compagnie di produzione e dagli organismi di promozione della danza contemporanea ha portato a modificare le proprie strategie di lavoro per adattarle alle norme di distanziamento imposte dal virus. In seguito, una volta terminato il momento di emergenza vero e proprio, ogni ente ha potuto ricominciare a lavorare in forma di “quasi normalità” e ha avuto l’occasione di tornare ad utilizzare la modalità in presenza per lo sviluppo di progetti futuri. A questo punto però rimane da osservare se il passaggio del Covid all’interno degli organismi della danza abbia rappresentato non solo un momento di transito iniziato e auto-concluso nel periodo dei mesi di emergenza, ma abbia lasciato dietro di sé strascichi e tracce più o meno concrete che potrebbero essere entrate a far parte della vita delle compagnie e che in un certo senso ne abbiano modificato l’andamento generale. In questo senso ho voluto quindi riflettere in ultimo sulle conseguenze che la pandemia ha lasciato nelle compagnie nel periodo post-emergenza e osservare in seguito quanto l’improvvisa e impellente necessità di utilizzo dei dispositivi digitali per lo svolgimento della disciplina coreutica abbia influito sulle scelte future degli organismi della danza.

Lavorare dopo la pandemia

La ripresa delle attività in presenza a seguito della fine dell’emergenza ha fatto sì che le compagnie e gli enti di promozione della danza tornassero finalmente a lavorare in maniera tradizionale[1] e riuscissero ad usufruire nuovamente dei consueti spazi dedicati alla creazione, ricominciando ad ospitare in sede sia coreografi che danzatori. A tal proposito, la rimodulazione delle attività dovuta ai distanziamenti e le sperimentazioni realizzate in periodo di pandemia mi hanno portato a riflettere su una questione particolarmente interessante circa il futuro della danza post-Covid, o meglio su quali tracce abbia lasciato di sé il virus anche una volta terminato lo stato di emergenza, in particolare chiedendomi se questo abbia effettivamente continuato ad influenzare i sistemi creativi e i progetti a venire oppure se si sia trattato soltanto di un “momento” dopo il quale le realtà contemporanee sono tornate ad essere le stesse che erano un tempo. Chiaramente una prima, parziale, osservazione può essere riportata al fatto che le realtà coreutiche italiane sono così numerose e variegate che dare una risposta univoca per tutti si è rivelato di fatto impossibile. Indagando le attività post-Covid infatti, allo stesso modo di quelle in pandemia, ho potuto notare come molte delle realtà prese in esame nella panoramica precedente abbiano cercato di fare quanto più possibile tesoro delle esperienze condotte durante il lockdown, integrando le ricerche sulle nuove tecnologie di “danza a distanza” e producendo risultati ancor più soddisfacenti perché confluiti nel contesto di un lavoro in presenza. Tra queste vorrei citare in particolare Aterballetto e il progetto “Virtual Dance For Real People”[2], proprio per la sua caratteristica di porsi ancora una volta, a mio parere, come “modello” per un possibile rinnovamento tecnologico all’interno dei sistemi creativi della danza contemporanea. Prodotto dopo essere tornati a lavorare dal vivo, il progetto è nato proprio da alcune riflessioni sorte durante la pandemia circa il rapporto danzatore/spettatore/oggetto spettacolare:

«Può l’emozione dello spettacolo esistere senza lo spettacolo?
È possibile per una performance di danza coinvolgere lo spettatore mentre il ballerino non è fisicamente presente? Esiste un salvacondotto per assicurare all’arte la possibilità di esprimere la sua forza espressiva in assenza di contatti e alla presenza dei “distanziamenti”?»[3].

Queste le domande a cui la Fondazione[4] ha cercato di rispondere attraverso la produzione di coreografie che potessero impiegare lo strumento video e le tecnologie digitali come sostegno alla ricerca di strade innovative per il rilancio post-Covid. Come si evince dalla scheda dell’iniziativa infatti, “Virtual Dance For Real People” prevedeva come oggetto tre MicroDanze[5], realizzate da Diego Tortelli (Kepler e Meridiana) e da Saul Daniele Ardillo (Shelter), che potevano essere eseguite da uno o più danzatori. Le performance, programmate in diversi appuntamenti dal 2 al 6 Giugno 2021, sono state poi fruite dal pubblico all’interno del set stesso di realizzazione attraverso la tecnologia del video a 360° e i visori Oculus di realtà virtuale, che permettevano di osservare lo spazio intorno a loro come se si trovassero dentro un teatro. Il progetto si rivela particolarmente stimolante in questo senso per il fatto che qui la tecnologia non diventa l’oggetto della produzione, quanto piuttosto «il linguaggio che consente alla danza di sprigionare le emozioni più forti che ha in sé e che chi sceglie di vederla va cercando»[6]. Lo spettatore quindi, stando ancora una volta a quanto riportato nella scheda di produzione[7], può entrare fisicamente nello spazio della performance simulando l’ingresso a teatro e ritrovandone all’interno componenti quali scena, oggetti e luci, senza però ritrovare il corpo reale del danzatore. Attraverso l’utilizzo del visore quindi lo spettatore può scegliere a quale performance assistere e quale dispositivo utilizzare, partecipando a un’esperienza immersiva, anche a livello sonoro[8], da una prospettiva diversa rispetto a quella cui era abituato.

Photo Credit: Celeste Lombardi

Tornando su quanto riflettevo all’inizio però, non tutte le realtà hanno reagito allo stesso modo e non tutte hanno voluto integrare le esperienze digitali sperimentate in pandemia per un periodo più lungo del necessario. L’Associazione VERA STASI ad esempio, attraverso le parole di Silvana Barbarini, afferma[9] che le modalità di lavoro adottate durante la pandemia siano da relegare esclusivamente a momenti di emergenza come quello appena vissuto e non potrebbero mai rappresentare un’alternativa ai sistemi produttivi tradizionali. Per la loro tipologia di attività Zoom resterà sicuramente un mezzo per comunicare a distanza e per organizzare assemblee, che nella loro esperienza hanno funzionato benissimo, ma non utilizzeranno strumenti come le dirette streaming per raggiungere il proprio pubblico. «Lo spettacolo dal vivo deve restare spettacolo dal vivo. – afferma Barbarini – Sono il cinema e la televisione i media che hanno scelto di vivere in una dimensione “virtuale”»[10]. Un’ultima testimonianza a mio parere interessante da riportare in questa sede arriva dalla docente e coreografa di danza contemporanea Emanuela Tagliavia[11], che in un’intervista[12] racconta di aver certamente realizzato qualche composizione in video durante la pandemia[13] (collaborando con alcuni registi e affermando anche di aver apprezzato il mezzo tecnologico) ma che, alla domanda riguardo un possibile mantenimento del mezzo virtuale come metodo di lavoro anche dopo la fine dell’emergenza, risponde:

«Non possono sostituire quelle dal vivo, così come le prove che precedono uno spettacolo. Come danzatrice e spettatrice sono convinta che l’esperienza di formazione e teatrale debbano essere reali. A teatro si vive un’esperienza fisica. Anche quando ci si annoia. Se è già diverso vedere un film in tv o andare al cinema, figuriamoci come cambia la presenza dal vivo in teatro rispetto allo streaming»[14].

Photo Credit: Franco Covi

Per concludere, vorrei proporre un’interessante considerazione fornita dal Direttore Generale del Balletto di Roma, Luciano Carratoni[15], il quale afferma come la pandemia abbia messo in discussione ogni tipo di certezza nei sistemi di creazione e produzione, ma che solo le generazioni future potranno un giorno tirare le somme e valutare se il periodo appena vissuto sarà davvero servito a fissare delle riflessioni:

«Sicuramente questo periodo è servito a farci riflettere come poco o niente venga usato il mezzo tecnologico per far lavorare le persone in ogni ambito. Di come la fisicità della conoscenza spesso nasconda l’incapacità di avviare processi certi e codificati anche in ambito creativo. Sicuramente tra qualche tempo non rimarrà nulla di ciò che abbiamo vissuto in passato perché la tecnologia prenderà il sopravvento su tutto e sempre più le nuove metodologie formative e creative saranno costrette ad utilizzare come strumento di trasmissione del sapere la tecnologia come ormai avviene da decenni. Il corpo sarà sempre più un mezzo messo a disposizione della tecnologia e non un elemento assoluto dello sviluppo della creatività»[16].

Carratoni continua osservando come la tecnologia abbia modificato in breve tempo tanto la percezione visiva della creatività quanto quella emotiva dello spettatore, facendo i conti con un processo evolutivo ormai reale e al quale bisogna adeguarsi per entrare nei nuovi processi creativi sempre più legati al futuro. In ultimo, suggerisce che attualmente la tecnologia è ancora troppo limitata e che solo tra qualche decennio se ne potranno godere realmente i benefici:

«Accadrà per la danza come accaduto per la musica da oltre cinquant’anni, progressivamente il musicista è stato sostituito dalla tecnologia. Poco rimane dell’esperienza del passato se non celebrarlo con tutto il rispetto che merita. Di come si suona per creare è ormai solo il risultato dell’esperienza tecnologica e non più di quel sapore materico che la storia ci ha regalato»[17].


[1] O meglio, “quasi” tradizionale.

[2] Maggiori informazioni al link: https://www.aterballetto.it/2021/virtual-dance-for-real-people-aterballetto-digital/ (Consultato il 02/01/2022).

[3] Ibidem

[4] Con il sostegno di RE:Lab Reggio Emilia (azienda leader nel design, development ed evaluation di Human-Machine Interfaces) e Riot Studio Napoli (società di comunicazione e produzione multimediale).

[5] MicroDanze è un ambizioso progetto di performance “danzate”. Ideato da Gigi Cristoforetti, il progetto scaturisce da un invito di Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia di arricchire un’esposizione dedicata alle rappresentazioni della danza nell’arte sviluppandosi attorno all’esplorazione di differenti modalità di fruizione della performance di danza. Cfr: https://www.aterballetto.it/scheda-produzione/microdanze-aterballetto/ (Consultato il 02/01/2022).

[6]Cfr. https://aterballetto.it/scheda-produzione/virtual-dance-for-real-people (Consultato il 02/01/2022).

[7] Cfr. Ibidem

[8] Il suono è stato elaborato in modalità binaurale e completa l’esperienza dello spettatore avvolgendolo completamente e indirizzandolo verso gli elementi più importanti della scena. Cfr. Ibidem

[9] Ancora nell’intervista da me realizzata. Cfr. nota 78.

[10] Ibidem

[11]Per maggiori informazioni sulla sua biografia rimando al link: https://www.emanuelatagliavia.com/info.html (Consultato il 02/01/2022).

[12] Mi riferisco all’intervista pubblicata il 14 Febbraio 2021 su Il Fatto Quotidiano, disponibile al link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/14/emanuela-tagliavia-racconta-lesperienza-della-danza-via-zoom-questi-ragazzi-durante-il-covid-hanno-davvero-fatto-i-conti-con-la-loro-motivazione/6101245/ (Consultato il 02/01/2022).

[13] Che non ho approfondito nei paragrafi precedenti perché, in quanto docente presso Scuole e Accademie (tra cui la Scuola Civica di Teatro Paolo Grassi e l’Accademia Teatro alla Scala), non perfettamente in target con la ricerca portata avanti nella tesi. In questo caso però ne riporto la testimonianza perché riferita ad una sua opinione personale e non esclusivamente al lavoro svolto come insegnante.

[14] Cfr. nota 174.

[15] In seguito ad una domanda da me posta nel mese di Dicembre 2021.

[16] Ibidem

[17] Ibidem

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