Maestro di balletto danese, August Bournonville è forse uno dei coreografi romantici più sottovalutati del periodo ottocentesco. Nel corso della sua carriera ha creato numerose opere coreografiche (molte delle quali ormai perdute) e codificato una vera e propria tecnica che consente ai danzatori di interpretarle. Per gli italiani Bournonville è apprezzato in particolar modo per aver messo in scena due balletti ispirati al Bel Paese: il famosissimo Napoli e Infiorata a Genzano.

Ritratto di August Bournonville

Bournonville, tra il classicismo e l’atletismo

Figlio del ballerino francese Antoine Bournonville, che a sua volta era stato allievo di Noverre all’Opéra di Parigi ed emigrato a Copenaghen per un incarico al Teatro Reale, August segue sin da subito i passi del padre e inizia ad amare la danza a tal punto da sentirla sulla propria pelle come un’investitura di cui portare il peso e le responsabilità. Inizialmente concorde con gli insegnamenti del padre circa la supremazia del balletto romantico francese, dalle “forme raffinate e corrette”, è durante un viaggio all’Opéra che si accorge di apprezzare maggiormente il nuovo atletismo di Vestris.

Tornato a Copenaghen, i suoi rapporti con il Teatro Reale sono così tesi che August preferisce tornare a Parigi per studiare con Vestris. É qui che Bournonville diventa un’abile danzatore e viene ammirato per il suo rapido lavoro di piedi e le sue velocissime pirouettes, movimenti che esegue tenendo sempre d’occhio i dettagli e le complessità della tecnica coreutica. Per lui leggerezza, velocità, precisione e coordinazione potevano creare un senso di libertà sconfinato anche se relegati ad un passo statico.

Nonostante l’amore per Vestris e per la sua tecnica (si dice che abbia anche partecipato ad un duello per difendere il nome del suo maestro), August rimane comunque sempre legato anche agli insegnamenti del padre. Riflettendo su questo, Bournonville dà inizio al progetto che diventerà quello di tutta la sua vita: unire l’antico classicismo trasmessogli dal padre al nuovo atletismo appreso da Vestris.

Tutto ciò lo porta a tornare nuovamente in Danimarca, intuendo che lì le sue opere sarebbero state più al sicuro che in qualsiasi altro luogo, per molteplici motivi: un po’ per riconoscenza verso il Re Danese che gli aveva permesso di studiare a Parigi, un po’ perché non amava gli eccessi del balletto francese e soprattutto perché voleva che il ballerino non si limitasse ad essere un porteur ma avesse un ruolo più attivo all’interno delle coreografie.

Nel 1830 torna quindi a Copenaghen con l’incarico di Maestro di danza del Teatro Reale. Qui inizia subito a produrre opere: nel ’35 mette in scena Valdemar, balletto epico in quattro atti, e nel ’36 crea una nuova versione de La Sylphide di Filippo Taglioni (di cui abbiamo parlato qui). Tutto questo lo accompagna nel corso degli anni verso uno degli eventi più importanti accaduti nella vita del coreografo danese, un evento che ha cambiato il suo modo di vedere la danza e ha marcato ancor di più la sua tecnica “rapida e contenuta”.

Il viaggio in Italia

Durante una delle repliche di uno spettacolo che Bournonville sta mettendo in scena al Teatro Reale, una claque particolarmente rumorosa disturba lo spettacolo. Il coreografo, infastidito, chiede al Re il permesso di andare avanti con il balletto. Il sovrano acconsente, ma l’atto di rivolgersi in pubblico direttamente a lui viene considerato una violazione inaccettabile dell’etichetta, tanto che Bournonville è costretto a lasciare la Danimarca per sei mesi finché il Paese non riesca a dimenticare l’incidente.

In questo peridio August affronta un viaggio in Italia, precisamente a Napoli, dove conosce un modo di vivere che si discosta totalmente da quello a cui era abituato in Danimarca: niente etichetta, tanti colori e vivacità, persone spontanee e vita di strada. Questo dà al coreografo l’ispirazione, appena rientrato a Copenaghen, per realizzare un balletto che si presenta subito molto diverso rispetto ai precedenti, più allegro e colorato: Napoli, del 1842.

Napoli

Napoli è sicuramente il balletto più iconico dello stile di Bournonville, nonché uno dei più famosi. Messo in scena al Teatro Reale Danese l’anno successivo al suo rientro in patria, con Napoli il coreografo cerca di rappresentare la bellezza e la vivacità della città partenopea da cui rimane completamente affascinato. Nonostante ci sia una trama che segue un libretto in tre atti infatti, il soggetto principale si rivela essere la città stessa e la volontà del coreografo di mostrare ai danesi un modo di vivere che niente ha a che vedere con il proprio.

Ad ogni modo, la storia racconta dei due giovani innamorati Gennaro e Teresina, giovane pescatore lui e vivace contadina lei, che affrontano un viaggio in barca durante il quale lei cade in mare a causa di una tempesta. Nel II atto Teresina viene rapita da uno stregone che vive nella Grotta Azzurra di Capri e viene trasformata in Naiade, ma Gennaro riesce a salvarla grazie ad un amuleto della Madonna. Il III atto, nel quale si inserisce l’ormai famosa Tarantella, è dedicato ai festeggiamenti per il matrimonio dei due innamorati. Durante la prima rappresentazione Bournonville stesso interpreta Gennaro, mentre Teresina è Caroline Fjeldsted.

Royal Danish Ballet in Tarantella da Napoli, Atto III

In Napoli viene mostrato a tutti gli effetti lo stile scattante di Bournonville, fatto di salti, pirouettes e viruosismi rapidi ma contenuti. Osservando la coreografia appare subito chiara la caratteristica velocità del lavoro dei piedi, in cui si nota che i talloni non poggiano mai a terra (si dice che questo derivasse dai tendini troppo corti del coreografo stesso, che non riusciva ad appoggiare mai il piede per intero). Il fine ultimo dei salti di Bournoville infatti non è l’elevazione stessa ma la transizione, precisa e accurata, da una posizione all’altra.

Anche le braccia nella sua tecnica hanno una posizione specifica e si può notare inoltre che le scarpette degli uomini sono realizzate con una forma particolare, quasi a punta, che serve a simulare un maggiore allungamento della gamba. Con Bournonville i danzatori acquistano la stessa importanza delle danzatrici, tanto che in Napoli (e in tutte le altre sue coreografie) l’uomo non si limita ad accompagnare la donna ma balla veramente al suo fianco. Tutto ciò, e molto altro, consente di danzare Bournonville soltanto a coloro che ne hanno studiato a fondo lo stile e la tecnica.

Infiorata a Genzano

Diversi anni dopo, nel 1858, il coreografo danese dedica all’Italia un’ulteriore coreografia: Infiorata a Genzano, ispirata naturalmente alla famosa manifestazione che si svolge ogni anno nella città in provincia di Roma. Il balletto, su musiche di Edvard Helsted e Holger Simon Paulli, prevede un solo atto e racconta la storia, tratta dal libro di Dumas padre Impressions de voyage, dei due amanti Rosa e Paolo. Nonostante sia considerato uno dei balletti più riusciti di Bournonville, di Infiorata a Genzano è rimasto a noi soltanto il Pas de deux che di solito viene rappresentato nei Gala.

Maria Tallchied e Rudolf Nureyev in Infiorata a Genzano – 1962

Lascia un commento

In voga